mercoledì 23 marzo 2011

Anche a Benevento nei mercati e nei negozi i sacchetti biodegradabili taroccati!!!

Benevento i Noe hanno recentemente sequestrato un certo numero di shoppers «sospetti», li hanno fatte analizzare dall’Arpac e si sono così accorti che non rispondevano ai requisiti imposti dalla legge.

Questi shoppers sono molto simili a quelli prodotti con additivo oxo-biodegradabile ma, in realtà, sono, normalissimi sacchetti di plastica su cui è stato stampato un marchio contraffatto.

I sacchetti taroccati sono molto diffusi perché hanno un costo notevolmente inferiore rispetto a quelli originali: settecento pezzi a norma hanno un prezzo che oscilla intorno ai 12 euro, lo stesso numero di sacchetti pezzottati oscilla intorno agli 8 euro.

Questa notizia ha avuto una scarsa risonanza sugli organi di stampa, tuttavia,Rete Rose Rosse Campania ritiene che debba essere adeguatamente diffusa affinché i consumatori siano messi in guardia da questi falsi sacchetti biodegradabili ma soprattutto perché possano essere individuati gli esercizi commerciali e le bancarelle dei mercati dove tali sacchetti impropri vengono utilizzati e affinché possano essere prese le adeguate misure atte a combattere il fenomeno del falso biodegradabile.

Per chiarire le idee ai consumatori diamo alcune delucidazioni sul concetto di biodegradabilità e di compostabilità nonché sulle normative in uso in Italia in questo momento.


La questione relativa agli shoppers biodegradabili nasce dalla Legge 296/06 (ovvero la Finanziaria 2007, varata dal governo Prodi) che, ai commi 1129, 1130 e 1131 vietava, a partire dal 1° gennaio 2011, la commercializzazione dei “sacchetti per asporto delle merci non biodegradabili”.

Tale veto era stato posto in virtù di anni ed anni di lotte ambientaliste nei confronti degli imballaggi inutili, in particolare di quelli in plastica, e specialmente nei confronti delle buste di plastica le quali, oltre che a causare inquinamento, quando sono gettate in mare, nei fiumi e nei laghi, provocano spessissimo il soffocamento di pesci e tartarughe, che li scambiano per prede.

Non stiamo qui a disquisire sulla necessità, peraltro secondo noi fondamentale, di affiancare ad una importante riforma in chiave ambientale anche un’adeguata politica industriale in chiave di riconversione produttiva delle aziende produttrici di materie plastiche, cosa che non fu fatta dal Governo Prodi (che, probabilmente, non ne ebbe il tempo perché cadde prima di vedere applicata la norma in questione), ma che nemmeno è stata fatta dal Governo che è venuto dopo(determinando, peraltro, nei tre anni in cui è stato in carica, nessuna azione positiva se non la messa in cassa integrazione di centinaia di dipendenti delle grandi ditte produttrici).

E’ questo, infatti, un argomento complesso da discutere in separata sede.

Parliamo, invece, visto che da gennaio sono banditi i “sacchetti per asporto delle merci non biodegradabili”, del significato del termine “BIODEGRADABILE”.

Biodegradabile è il termine utilizzato per indicare i materiali che possono essere decomposti in natura, ovvero materiali in cui molecole complesse possono essere trasformate in molecole più semplici e innocue per l'ambiente.

La trasformazione di queste sostanze avviene grazie all'azione di batteri, in genere chiamati saprofiti, che, venendo a contatto con i materiali, ne estraggono sostanze utili al loro metabolismo attraverso l'azione di enzimi.

Sono considerati biodegradabili, le cosiddette plastiche oxo-biodegradabili, che sono plastiche tradizionali di origine oleofinica – in genere polietilene o polipropilene – trattate con additivi in grado di accelerarne la biodegradazione al contatto con l’ossigeno dell’aria, biodegradazione che, tuttavia, si realizza in non meno di un anno.

Sono invece definite come scarsamente biodegradabili le plastiche additivate con una sostanza detta ECM (MasterBatch Pellets), che hanno tempi di decomposizione superiori all’anno, e per non più del 50 per cento del materiale.

Nei confronti dei produttori di questo materiale (Italcom, Arcopolimeri e Ideal Plastik), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha, infatti, espresso una sentenza di pubblicità ingannevole dal momento che i sacchetti da essi prodotti venivano pubblicizzati come biodegradabili e compostabili in modo generico e, poiché non veniva specificato che essi non rispettano le condizioni e i tempi previsti dalla normativa comunitaria e nazionale di settorerelativi alla compostabilità, si induceva in errore i Comuni italiani, gli esercizi commerciali e le catene della Grande distribuzione organizzata, alle prese con l’entrata in vigore del bando degli shopper tradizionali.

Biodegradabile, tuttavia, non vuol dire compostabile.
Secondo le norme UNI si definiscono compostabili, cioè idonei ad essere trattati insieme ai rifiuti organici, soltanto i sacchetti composti da biopolimeri derivati dall’amido - come il materB – le cui molecole si decompongono in presenza di umidità in un periodo non superiore ai sei mesi (negli impianti di compostaggio, in un tempo molto minore).

Traendo le somme, dunque, le plastiche oxo-biodegradabili, non soddisfano i requisiti di compostabilità richiesti dalla norma UNI EN 13432, requisiti che impongono un tempo di biodegradazione di 180 giorni, ma sembrerebbero da considerare a tutti gli effetti biodegradabili, come dichiarato da illustri studiosi della materia in una lettera inviata dal rappresentante italiano della Oxo-Biodegradable Plastics Association ai ministri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico, dal momento che al punto 3 lettera D dell'Allegato II della direttiva sugli imballaggi, 94/62/CE, non sono indicati con esattezza i tempi di biodegradazione richiesti.
(“Imballaggi biodegradabili: i rifiuti di imballaggio biodegradabili devono essere di natura tale da poter subire una decomposizione fisica, chimica, termica o biologica grazie alla quale la maggior parte del compost risultante finisca per decomporsi in biossido di carbonio, biomassa e acqua”).

Dunque è proprio questo il punto fondamentale che la commissione tecnica del Ministero dell’Ambiente dovrà chiarire quanto prima.

Lo scorso 7 marzo a Roma si è svolto un convegno promosso dal Consorzio PolieCo (Consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni in polietilene) per fare il punto della situazione. Durante questo convegno, cui hanno partecipato Aziende produttrici di shoppers, Legambiente, importanti rappresentanti della Grande distribuzione commerciale (Coop Italia e Gruppo Despar, Conad e Federdistribuzione), l’Azienda Municipalizzata per i servizi ambientali della Capitale, Coldiretti, Confcooperative, CNA,Confartigianato e WWF, nonché tecnici in ingegneria e giurisprudenza, è stato annunciato un pronunciamento del Ministero dell'Ambiente nell’arco di due settimane.

A tutt’oggi, però, tale pronunciamento non c’è ancora stato.

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